La retorica del contagio da Boccaccio al Coronavirus: i casi della peste del ’300, del ’500 e del ’600 tra fonti storiche e letteratura
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2724-5179/12079Parole chiave:
Covid-19, Triage, Argumentation Theory, Clinical Ethics, Medical HumanitiesAbstract
La storia della retorica del contagio rivela l’esistenza di un immaginario condiviso in cui essa si forma come contrattazione fra temere e sapere, fra sapere e sperare, fra verità che la società può tollerare e come questa verità viene comunicata. Esistono metodi razionali per preferire la felicità alla salute, la salute al lavoro, la sicurezza del corpo sociale a quella individuale? Tra fonti storiche, letteratura e cronaca, emerge il problema etico dell’accordo dei valori che l’esperto deve trovare con la comunità per legare l’agire alla dimensione della persuasione. Nella teoria dell’argomentazione, l’argomento di contagio si utilizza quando, da un fenomeno iniziale considerato nocivo, si ammonisce contro la sua trasmissione. Come fermare la paura del contagio? In Boccaccio, la peste del 1348, come rottura del patto sociale tra l’uno e il tutto è alla base della proposta “dell’onestamente andare” di Pampinea: non l’incolumità ma la possibilità di ritrovare un’ecologia mentale.
Le lettere di Lucrezia Borgia sulle iniziative intraprese durante la peste modenese del 1505, dimostrano che la quarantena, viene giustificata nell’opinione comune, dall’argomento pragmatico: l’effetto persuasivo coincide con il calo della curva epidemica. Manzoni scrivendo della peste del ’600 muove dalla pars destruens dell’autorità colpevole “d’indulgere alla credulità” verso quella construens nell’elogio del servizio reso nel lazzaretto, nuova forma di socialità, “da uomini a uomini”.
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