«Albergo eterno d’anime infelici»: visioni e immagini dell’inferno barocco
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2724-5179/15419Parole chiave:
Inferno, Barocco, Giovan Battista ManniAbstract
Come aveva dimostrato Piero Camporesi nella Casa dell’eternità (Garzanti, 1987) durante l’epoca controriformistica l’idea di inferno muta radicalmente: non è più quell’ordinata, gerarchizzata struttura a piani digradanti che aveva immaginato Dante nel suo capolavoro, ma un luogo perennemente buio, insieme infuocato e agghiacciato, dove le anime si accalcano l’una sull’altra senza alcun assetto regolare. Tuttavia, questa massa indistinta sollecita la fantasia dei predicatori, che realizzano quadri corruschi di atroci sofferenze e, spingendo la parola nei territori di solito riservati all’immagine, provano a descrivere l’inferno come una sbalorditiva scenografia di fiamme, mostri e atrocità. Immagine e parola si coniugano compiutamente nella Prigione dell’inferno, un’operetta del gesuita modenese Giovan Battista Manni che rappresenta, con le sue incisioni fantasticamente truculente e le successive spiegazioni, l’esempio più pertinente della necessità di mobilitare, oltre alla parola, anche la vista, per instillare nei fedeli la paura del peccato.
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