Sapiens dictus a sapore. Una Buccolica «grossa» e «sottile» nel Banchetto de’ mal cibati di Giulio Cesare Croce
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https://doi.org/10.6092/issn.2724-5179/21473Parole chiave:
Tomaso Garzoni, Giulio Cesare Croce, Domenico Romoli, Buccolica, Banchetto de’ mal cibati, Poesia-pharmakonAbstract
La poesia, in quanto «attività intellettuale che fruisce di sue particolari forme», può ricorrere a un immaginario collettivo per raffigurare una determinata situazione o un problema oggettivo. La reductio ad artem che Giulio Cesare Croce sceglie di percorrere nella commedia del Banchetto de’ mal cibati (1591) segue i canoni stilistici di una poesia-pharmakon, che, nel conservare le peculiarità della materia «teatrica» propria della «Buccolica» teorizzata da Tomaso Garzoni, accoglie nel tessuto connettivo di un «soggetto» diegetico «fastidioso» (quello legato alle «gravi infirmità» sopraggiunte negli anni 1590 e 1591) due esempi di «cornucopie consolatorie»: l’«anti-cucina» del cuoco Magrino; e la bizzarra parodia del Pastor Fido di Battista Guarini, inclusa da Croce nell’atto III, scena 1 della commedia.
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